martedì 2 marzo 2010

Attila Josefz (1905-1937)

Ai margini della città, dove vivo,
quando crollano i tramonti,
discende la fuliggine con morbide ali
simile a stormo di minuti pipistrelli
e come guano dura e compatta
si posa.

Così ci preme quest'epoca
sull'anima e come inutilmente gli stracci grevi
delle dense piogge
lavano un tetto di lamiera contorta,
invano così la tristezza raschia sul nostro cuore
ciò che ormai vi è pietrificato.

Neppure il sangue può lavarlo. Ecco chi siamo,
un popolo nuovo, una folla diversa.
In altro modo pronunciamo le vecchie parole,
in altro modo ci crescono i capelli.
Non Dio, o la ragione, ma il ferro,
il carbone, il petrolio, la reale

materia ci ha creato,
versandoci indomiti e roventi
nelle forme di questa società
a fare fronte per l'uomo
sopra l'eterno campo. [1]

[1] M. De Micheli e E. Rossi (a cura di) "Poesia ungherese del '900" Schwarz, Milano, 1960 pp. 123/125

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