lunedì 11 luglio 2011

Marchionnite (lettera ad un'amica)

Ciao giovanotta bella! Sono in attesa che mi si scongeli la pizza e sto guardando tutto il lavoro in attesa sulla scrivania. Ho qui il terzo numero di Alfabeta2 e vi ho trovato un interessante articolo di Michele Emmer su "Università e crisi della cultura" che mi ha fatto riflettere sulla "marchionnite" detta anche sindrome di Marchionne, che ha colpito da tempo il nostro ceto industrale (Sergio Marchionne, in effetti, ha perlomeno il merito di avere esplicitamente teorizzato un processo che è brutalmente in corso da tempo, ma sottotraccia), e sulla relazione che corre tra la marchionnite e lo smantellamento gelminiano della nostra istruzione pubblica, e più in generale con lo smantellamento tremontiano dello Stato. 
Così scrive - tra l'altro, Emmer: "[...] Certo in Italia i fondi non sono mai stato tanti, e saranno sempre meno. Il governo può benissimo scegliere un modello per i prossimo anni, in cui l'università pubblica ha un ruolo marginale, in cui la formazione ha un ruolo marginale, la cultura ha un ruolo marginale. Per un paese che è famoso nel mondo per possedere probabilmente il 50% del patrimonio artistico dell'intera umanità sembra una posizione curiosa, ma è pur sempre una posizione, purché sia resa esplicita. [.....] Nel frattempo, per formare la classe dirigente [....] mandiamo i nostri figli a studiare all'estero, in scuole prestigiose dove si formeranno bene e acquisiranno tante capacità. E chi non ci può andare? Pazienza. La colpa è dell'Università che disperde le poche risorse disponibili. E pazienza per i brevetti, le conoscenze tecnico-scientifiche, la cultura, in una parola [...]"


Leggo e rileggo l'articolo, leggo i lanci d'agenzia ove si parla di monumenti crollati (piove tanto, che volete....), leggo le dichiarazioni minimizzanti di Bondi circa tali crolli, vedo gli studenti che manifestano contro la riforma Gelmini,  sento le reazioni stizzite di quanti stigmatizzano la protesta studentesca: "coprono i baroni!" (è affascinante sentire la Gelmini che critica gli studenti "da sinistra" in quanto oggettivamente schierati a difesa del baronaggio!). Poi leggo le interviste a Marchionne, leggo quello che scrive Roberto Mania su Repubblica del 13 (novembre) scorso:


"LO "tsunami Marchionne" ha colpito prima i sindacati e con l'annuncio della Fiat-Chrysler di uscire, seppure temporaneamente, dall'associazione degli industriali, ora tocca alla Confindustria. Perché il nuovo contratto di lavoro per il settore dell'auto, marca uno spartiacque nelle relazioni tra le parti. Cambieranno i contratti e le altre regole del gioco. Ci sarà un effetto a valanga. Nulla sarà più come prima anche a Viale dell'Astronomia. Che subirà lo smacco dell'uscita del suo associato più prestigioso, il simbolo stesso del capitalismo italiano: la Fiat. Quella che per decenni ha dettato la linea della lobby industriale, guidandola, per un biennio, in prima persona con l'Avvocato Agnelli e "designando" più d'una volta il presidente. È un mondo che cambia [...] 


Il "mondo che cambia" si lega alla questione del mercato di sbocco dei prodotti. Fino a quando l'industriale vede i "propri operai" come i naturali acquirenti dei "suoi" prodotti, li stipendia adeguatamente affinché possano comprarli. Ma quando operaio e consumatore non si riuniscono più nella stessa figura perché i mercati stanno da un'altra parte, questi tenderà a comprimere al massimo gli stipendi. I "suoi" operai potranno anche fare la fame, tanto la vendita dei "suoi" prodotti avverrà comunque, anche se  altrove.
La stessa cosa avviene per la formazione: quando sei certo di poter acquistare altrove le competenze che ti occorrono - già fatte, in un certo senso - non sei stimolato ad investire per formartele in casa. I costi per l'istruzione, per la cultura - che fino ad ieri erano strategici - adesso sono improvvisamente diventati una pura perdita. 
Ma poi, vediamo un po' quale possa essere la casa di un Sergio Marchionne: nato da genitori italiani, come pare indicare il suo nome, l'Italia non è ne' il suo Vaterland ne' la sua Heimat, che si collocano piuttosto là dove è conservato il suo contratto di ingaggio. Il suo passaporto è ben sostituito dalla sua carta di credito, e le lingue che parla - certamente italiano ed inglese, forse anche altre - sono con ogni evidenza lo strumento per condurre bene  gli affari, non certo una Muttersprache, o - come direbbe Schiller "die gebildete Sprache, die  für dich dichtet un denkt". Egli non ha necessità di una gebildete Sprache dato che ciò che esprime è già [si presenta come] oltre l'ideologia e si afferma - all'orecchio dell'interlocutore -  con l'inesorabile forza propria all'evento naturale. Egli è il primo esempio di uomo esplicitamente e felicemente al servizio della macchina, della quale ha assunto il linguaggio e l'elementare logica binaria. Con questa scelta ha rivendicato a sé il ruolo del'alfiere che mostra la strada alle schiere dei suoi pari [italiani], orientati - nella riorganizzazione internazionale del lavoro - a riservare all'Italia in destino di discarica abusiva e di serbatoio di mano d'opera dequalificata e precaria per lavorazioni a basso valore aggiunto. 

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