Sull'onda di un paio di giornate asciutte e soleggiate, abbiamo ricominciato a veder rosseggiare le fiamme. Aspettando la prossima estate che sarà, con certezza, punteggiata di roghi e distruzioni, ecco un breve testo, scritto nell'Agosto 2007, ma sempre valido:
a chi, come me, legge inorridito e disgustato degli incendi - con certezza assoluta dolosi - che stanno devastando il sud del nostro Paese, giova forse rammentare che questi non sono in fondo che la manifestazione più plateale e quindi più visibile, ma non più grave (fatta salva la totale solidarietà con chi nei roghi ha perso i beni o la vita), di una più generale tendenza all'autodistruzione che, in ogni stagione, da anni e senza sosta va devastando l'intera Italia.
Tendenza che accomuna la stragrande maggioranza degli italiani, non in quanto singoli (ché anzi come tali, sono anche troppo attenti alla strenua difesa di ciò che ritengono - generalmente errando - il proprio interesse), ma in quanto corpo sociale.
Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti e sarebbe per me adesso umiliante elencarli nuovamente. Me ne asterrò quindi, notando unicamente che ci sono giorni in cui il sentirmi straniero in patria (sensazione che mi accompagna da sempre) non è sufficiente a mettermi al riparo da ondate di disperato e impotente (7) sdegno. Sdegno di fronte alla girandola oscena di corruzione e di incapacità politica ed amministrativa, specchio della più generale incapacità civica dei singoli quotidianamente declinata in milioni di atti di demente e autodistruttiva furbizia. (8).
(7) Impotenza peraltro limitata all' "hic et nunc" e che condivido purtroppo con la messe di coloro (quanto superiori a me!) che hanno trattato e trattano in un ottica "liberal" o social-democratica dei problemi italiani. Per farla breve, tutte le acute analisi fin qui condotte si arenano poi sulla mancanza di un ceto sociale coeso che le possa assumere come manifesto politico (è questo e non altro il frutto della nostra mancata "rivoluzione borghese"). D'altra parte, viviamo tutti nell'hic et nunc (Keynes, a chi lo interrogava sulle dinamiche a vasta scala dell'economia, rispondeva ironico: "nel lungo periodo saremo tutti morti", intendendo con ciò che la prospettiva dell'agire umano è necessariamente conchiusa nell'arco della vita dei singoli).
(8) Mi trovo a pensare che il permanere dell'Italia come unità nazionale non sia tanto merito dei suoi cittadini quanto frutto del fatto che il periodo delle guerre europee è terminato (il teatro dei conflitti è altrove e di ben superiore scala). I confini (per quel che valgono) sono fissati e nessuno "ci vuole più". Al massimo possiamo attenderci un destino balcanico, sotto gli occhi di un'Europa che..... non lo so, che. Sarà bene tornare a leggere con attenzione Pasolini, grande e sempre più attuale (non a caso è stato assassinato e non solo dal capro espiatorio Pelosi, personaggio pasoliniano quant'altri mai, tra l'altro..)
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